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Cambiare le leggi

  • Congedo di paternità e maternità di pari durata e a pari condizioni

  • Part-time come diritto e non concessione

  • Via le frasi (e i concetti!) sessisti da leggi e Carte costituzionali

  • Inserire il poter fare figli quando li si desiderano tra i diritti riproduttivi e sessuali

Ci sono tanti modi di migliorare la situazione degli aspiranti genitori attraverso la legge: tanti quanti sono i livelli legislativi.

La prima grande battaglia da combattere è quella per il congedo di paternità. L’unico modo per togliere dalle spalle delle donne la lettera scarlatta – in questo caso non la A di adultera ma la M di mamma – nei luoghi di lavoro, di riequilibrare la situazione e permettere alle donne di non essere discriminate sul lavoro, è un robusto e lungo congedo di paternità. L’ideale sarebbe prevedere un “congedo di genitorialità” paritario: lo stesso identico numero di giorni per le madri e per i padri, per esempio quattro mesi per ciascuno (di cui il primo da prendere preferibilmente entrambi insieme, al momento della nascita).
 

Il congedo di paternità è una novità degli ultimi anni, in molti Paesi è arrivato da poco e con durate molto più corte del corrispettivo congedo di maternità. Ma esso è la vera chiave per riportare immediatamente dopo una nascita la parità nel diritto e dovere dei genitori di prendersi cura del neonato; un'azione potente per realizzare contemporaneamente una azione forte verso la parità di genere, contro la discriminazione delle madri sul lavoro, e in generale per la costruzione di una società con ruoli meno stereotipati secondo il genere, più moderna e libera.

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Accanto al congedo di paternità, per i genitori che sono lavoratori dipendenti la modalità più utile per poter conciliare la cura dei figli è spesso il part-time; ma la possibilità di lavorare a tempo parziale è quasi sempre una concessione del datore di lavoro, che arbitrariamente può decidere se concederlo o no. Passare dalla concessione al diritto (di ottenerlo se lo si richiede) rappresenterebbe un rovesciamento del paradigma, mettendo al primo posto le esigenze di conciliazione. Contemporaneamente, come già esiste in alcuni Paesi, si dovrebbe lavorare sulla possibilità di modulare il part-time a percentuale, in modo da poter lavorare non solo all'interno della dicotomia full-time (100% dell’orario lavorativo) o part-time (50%), ma anche utilizzando tutto il restante range di frazioni, in modo che i genitori possano magari entrambi lavorare nella percentuale adeguata alla loro situazione. Se il part-time diventasse flessibile e non fosse più inteso come concessione bensì come diritto, conciliare figli e lavoro sarebbe meno difficile.

 

Un’altra battaglia da combattere è quella per eliminare i riferimenti sessisti e gli stereotipi di genere da tutti i testi normativi, su su fino alle Carte costituzionali. Per esempio l’articolo 37 della Costituzione italiana parlando della donna lavoratrice dice che le sue “condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare”. Da notare che l'“adempimento” è l'assolvimento di un obbligo, e che l’aggettivo “essenziale” implica l'impossibilità di svincolarsi dalla “funzione” primaria attribuita alle donne, che è quella appunto “familiare”... Provare a modificare queste formule desuete, ormai incapaci di fotografare la realtà, è uno dei modi in cui attraverso la legge si cambia anche la concezione della realtà.

 

Ultimo esempio, i trattati internazionali che riguardano i diritti riproduttivi e sessuali. Storicamente questi diritti sono stati declinati in modo da comprendere le modalità per non fare figli (dunque pianificazione familiare, accesso agli anticoncezionali, accesso all’interruzione volontaria di gravidanza…), e specialmente focalizzati sul difendere le donne nei Paesi in via di sviluppo, cui spesso ancor oggi viene negata la libertà di scelta sul proprio corpo e sulla propria capacità procreativa.

Ma la situazione di denatalità in quasi tutti i Paesi industrializzati, e il costante aumento dell’età media delle donne al primo figlio, apre a un altro scenario: affiancare ai diritti per poter disporre del proprio corpo liberamente e poter pianificare eventuali gravidanze e interrompere quelle indesiderate anche un diritto più “teorico” – quello di poter fare figli quando lo si desidera. Quello di non dover affrontare pressioni e impedimenti e non dover posticipare il momento della procreazione per cause indipendenti dalla propria volontà, e dipendenti invece dall’organizzazione del mondo del lavoro, dall’assenza di sostegni alla genitorialità, da un sistema che non crea condizioni favorevoli alla creazione di nuove famiglie.

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