Le nostre azioni
Far circolare l'informazione
-
Podcast per condividere storie ed esperienze e approfondire con esperti dati, leggi e proposte
-
Articoli di approfondimento e di opinione
-
Un osservatorio sul mondo che cambia, sul diventare ed essere genitori, su stereotipi e innovazioni
-
Community: una piattaforma di condivisione di storie, esperienze, proposte, testimonianze
The Why Wait Agenda è uno spazio online creato apposta per mettere al centro della narrazione pubblica il tema del fare figli. L’obiettivo è approfondire a 360 gradi, sempre da un’ottica laica e pro-choice, gli aspetti che sostengono o osteggiano la scelta di fare figli da parte sopratutto dei giovani adulti.
Il podcast costituisce il primo canale di informazione della Why Wait Agenda; al podcast si affiancano i contenuti giornalistici delle sezioni Fatti, Opinioni e Cultura, in cui trovano spazio approfondimenti sui temi scientifici, medici, statistici, politici, psicologici, culturali che riguardano il grande tema della natalità.
The Why Wait Agenda vuole proporre una narrazione della genitorialità nuova, moderna, senza tabù, senza ipocrisie, e dare spazio di visibilità a chi agisce per creare le condizioni migliori affinché le persone possano realmente scegliere se fare figli – e se sì, quando farne.
L’obiettivo della Why Wait Agenda è anche quello di raccogliere e mettere in circolo storie, idee, esperienze, di condividere spunti e punti di vista, di costruire un dialogo con i lettori e coinvolgerli nel lavoro per cambiare la narrazione. Creare una community di persone che hanno a cuore questi temi, desiderio di approfondirli, e magari anche di agire per migliorare la situazione.
L’informazione non si ferma poi a questo sito! A partire dal 2023 abbiamo intenzione di creare dei momenti di incontro pubblico, eventi, seminari, occasioni di incontro e di scambio.
Cambiare la cultura
-
Fare figli non è una malattia, non rende inabili al lavoro. Basta con la discriminazione delle madri (effettive e perfino "potenziali"!) nel mondo del lavoro
-
I figli non sono “delle mamme”: la genitorialità condivisa è il futuro, facciamola diventare il presente
-
Fare figli non è sempre così facile: le difficoltà di concepimento non devono essere un tabù
-
Avere bambini non impedisce di continuare a vivere una vita piena e interessante: non è “la fine del divertimento” né la pietra tombale sulla giovinezza
Perché le persone possano arrivare a fare il numero di figli che desiderano – che ciascuno desidera: e se è zero, va bene così! The Why Wait Agenda non è un’iniziativa che vuole spingere a fare figli, o a fare più figli: semplicemente, vuole creare le condizioni per cui ciascuno possa essere libero di fare il numero di figli che vuole, cominciando a cercarli nel momento in cui li vuole, senza che vi siano ostacoli esterni – bisogna anche lavorare per cambiare la cultura.
Sebbene ogni Paese e addirittura ogni territorio, in Svizzera e in Italia e in tutta Europa, abbia una sua specificità, ci sono degli elementi che ricorrono e che bloccano l’espressione del desiderio di genitorialità di molti giovani uomini e sopratutto giovani donne, creando il cosiddetto fertility gap, il divario tra figli desiderati e figli avuti.
Bisogna partire da tre punti essenziali. Il primo è che fare figli non è una malattia, non rende inabili, e dunque che si può vivere una vita intensa anche dopo aver avuto figli.
Questo vale nel lavoro, quindi bisogna agire per sradicare quei pregiudizi che portano le donne a essere discriminate nel mondo professionale per essere potenzialmente “a rischio maternità“, e spesso e volentieri demansionate o espulse quando la gravidanza si realizza. Una persona non perde improvvisamente le sue competenze per il fatto di aver partorito e di avere un bambino in casa: bisogna far conoscere e sostenere tutte le iniziative volte a demolire questo pregiudizio negativo, che dal mondo del lavoro tracima spesso e volentieri nella vita privata, dove il fatto di avere figli viene talvolta descritto come “la fine del divertimento”.
Il secondo punto essenziale è che i figli si fanno in due, almeno nella maggior parte dei casi. Cambiare la cultura della cura, coinvolgere i padri, smetterla di chiamarli “mammi“, riconoscere le loro capacità e l’importanza che hanno nel crescere i figli. I figli non “sono delle mamme”, come diceva un vecchio adagio. I figli sono di chi li ha voluti e se ne occupa, e che se ne debbano occupare (e perfino, talvolta, che li debbano volere) solo le donne è una “tradizione” generata da un gigantesco stereotipo di genere che considera che il posto giusto per le donne sia a casa. A occuparsi dei bambini. A dedicarsi a loro. A sacrificarsi per loro.
Ma nel terzo millennio, con le donne che studiano e lavorano e sono indipendenti e vogliono autodeterminazione e parità, questo assioma non può più funzionare. Ci vuole una genitorialità condivisa, in cui il peso del crescere un figlio venga suddiviso equamente sulle spalle dei genitori; gli uomini possono trovare nuovi modi di essere padri, modi più accudenti e meno deleganti di quelli consolidati in tanti secoli.
Il terzo punto è che parlare di come si fanno i figli non è un tabù. Formare una famiglia è un percorso complesso che può avvenire nel modo più tradizionale e veloce possibile – un uomo e una donna sospendono le precauzioni, e tac dopo poche settimane lei è incinta, tutto va bene, il bambino nasce, tutti contenti. Ma può anche andare diversamente. Non sempre i genitori sono due. Non sempre sono di generi diversi. Non sempre si resta incinta al primo colpo. A volte ci sono dei problemi di salute, a volte è l’età a non giocare a favore. Possono capitare false partenze, aborti spontanei. Si può scegliere di utilizzare le tecniche di procreazione medicalmente assistita. Cambiare la cultura della genitorialità vuol dire anche smettere di negare la complessità che ruota intorno al cercare di fare figli, e “normalizzare” quello che succede a centinaia di migliaia di persone, ma che spesso viene considerato inopportuno, qualcosa di cui parlare solo in privato.
Cambiare la cultura è un percorso lungo e tortuoso, che si fa intersecando continuamente un nuovo storytelling della famiglia contemporanea, delle sfide e delle criticità della natalità, con un attivismo per migliorare il quadro normativo e dei diritti.
Cambiare le leggi
-
Congedo di paternità e maternità di pari durata e a pari condizioni
-
Part-time come diritto e non concessione
-
Via le frasi (e i concetti!) sessisti da leggi e Carte costituzionali
-
Accesso inclusivo alla fecondazione assistita
-
Inserire il poter fare figli quando li si desiderano tra i diritti riproduttivi e sessuali
Ci sono tanti modi di migliorare la situazione degli aspiranti genitori attraverso la legge: tanti quanti sono i livelli legislativi.
La prima grande battaglia da combattere è quella per il congedo di paternità. L’unico modo per togliere dalle spalle delle donne la lettera scarlatta – in questo caso non la A di adultera ma la M di mamma – nei luoghi di lavoro, di riequilibrare la situazione e permettere alle donne di non essere discriminate sul lavoro, è un robusto e lungo congedo di paternità. L’ideale sarebbe prevedere un “congedo di genitorialità” paritario: lo stesso identico numero di giorni per le madri e per i padri, per esempio quattro mesi per ciascuno (di cui il primo da prendere preferibilmente entrambi insieme, al momento della nascita).
Il congedo di paternità è una novità degli ultimi anni, in molti Paesi è arrivato da poco e con durate molto più corte del corrispettivo congedo di maternità. Ma esso è la vera chiave per riportare immediatamente dopo una nascita la parità nel diritto e dovere dei genitori di prendersi cura del neonato; un'azione potente per realizzare contemporaneamente una azione forte verso la parità di genere, contro la discriminazione delle madri sul lavoro, e in generale per la costruzione di una società con ruoli meno stereotipati secondo il genere, più moderna e libera.
Accanto al congedo di paternità, per i genitori che sono lavoratori dipendenti la modalità più utile per poter conciliare la cura dei figli è spesso il part-time; ma la possibilità di lavorare a tempo parziale è quasi sempre una concessione del datore di lavoro, che arbitrariamente può decidere se concederlo o no. Passare dalla concessione al diritto (di ottenerlo se lo si richiede) rappresenterebbe un rovesciamento del paradigma, mettendo al primo posto le esigenze di conciliazione. Contemporaneamente, come già esiste in alcuni Paesi, si dovrebbe lavorare sulla possibilità di modulare il part-time a percentuale, in modo da poter lavorare non solo all'interno della dicotomia full-time (100% dell’orario lavorativo) o part-time (50%), ma anche utilizzando tutto il restante range di frazioni, in modo che i genitori possano magari entrambi lavorare nella percentuale adeguata alla loro situazione. Se il part-time diventasse flessibile e non fosse più inteso come concessione bensì come diritto, conciliare figli e lavoro sarebbe meno difficile.
Bisogna parallelamente modificare le normative che regolano l'accesso alla fecondazione assistita, rendendole più inclusive e meno rigide e quindi aprendole per esempio alle coppie dello stesso sesso e alle persone single; e avviare una campagna di informazione rispetto alla possibilità della crioconservazione degli ovuli, in modo da permettere alle giovani donne di valutare anche questa opzione per “assicurare” la propria fertilità anche in un momento in cui non desiderano ancora figli e poter utilizzare, più avanti, in coppia o anche da sole, i propri ovuli congelati in caso di procedure di fecondazione assistita.
Un’altra battaglia da combattere è quella per eliminare i riferimenti sessisti e gli stereotipi di genere dalle Carte costituzionali. Per esempio l’articolo 37 della Costituzione italiana parlando della donna lavoratrice dice che le sue “condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare”. Da notare che l'“adempimento” è l'assolvimento di un obbligo, e che l’aggettivo “essenziale” implica l'impossibilità di svincolarsi dalla “funzione” primaria attribuita alle donne, che è quella appunto “familiare”... Provare a modificare queste formule desuete, ormai incapaci di fotografare la realtà, è uno dei modi in cui attraverso la legge si cambia anche la concezione della realtà.
Ultimo esempio, i trattati internazionali che riguardano i diritti riproduttivi e sessuali. Storicamente questi diritti sono stati declinati in modo da comprendere le modalità per non fare figli (dunque pianificazione familiare, accesso agli anticoncezionali, accesso all’interruzione volontaria di gravidanza…), e specialmente focalizzati sul difendere le donne nei Paesi in via di sviluppo, cui spesso ancor oggi viene negata la libertà di scelta sul proprio corpo e sulla propria capacità procreativa.
Ma la situazione di denatalità in quasi tutti i Paesi industrializzati, e il costante aumento dell’età media delle donne al primo figlio, apre a un altro scenario: affiancare ai diritti per poter disporre del proprio corpo liberamente e poter pianificare eventuali gravidanze e interrompere quelle indesiderate anche un diritto più “teorico” – quello di poter fare figli quando lo si desidera. Quello di non dover affrontare pressioni e impedimenti e non dover posticipare il momento della procreazione per cause indipendenti dalla propria volontà, e dipendenti invece dall’organizzazione del mondo del lavoro, dall’assenza di sostegni alla genitorialità, da un sistema che non crea condizioni favorevoli alla creazione di nuove famiglie.
Potenziare i servizi
-
Più posti negli asili a prezzi ragionevoli
-
Orari scolastici compatibili con orari lavorativi
-
Incentivi alla creazione di asili aziendali
-
Nuove formule di childcare
-
Sussidi e sgravi per chi ha figli
“E poi come facciamo?”. Molto spesso ai figli si rinuncia – anche solo temporaneamente, beninteso – con questa frase. Perché all’idea di mettere in cantiere un bambino ci si chiede: ce la faremo a mantenerlo? A continuare a poter lavorare, realizzarci professionalmente? Per questo, nell’ottica del ridurre le interferenze che spingono a rimandare la scelta di mettere su famiglia (solo per chi vuole metter su famiglia! l’approccio della Why Wait Agenda è sempre pervicacemente pro-choice!), poter creare un ambiente accogliente che offra servizi destinati ai genitori è essenziale.
Innanzitutto ci vuole invece un investimento dello Stato per mettere a disposizione alle coppie con figli piccoli dei servizi all’infanzia adeguati, in grado di venire incontro a chi desidera poter continuare a lavorare, a chi non ha nonni disponibili, a chi non ha risorse finanziarie per assumere privatamente una persona che badi al bebè.
Questo vuol dire innanzitutto garantire posti negli asili nido in numero congruo. L’ “Agenda di Lisbona” nel 2000 aveva posto come obiettivo per tutti i Paesi Ue di arrivare entro il 2010 a una copertura di posti per almeno il 33% dei bambini di età inferiore ai 3 anni. In molti Paesi, oltre vent’anni dopo, quell’obiettivo ancora non è stato pienamente raggiunto: l’attuale copertura in Italia è ferma intorno al 25-26%. In Svizzera, per fare invece un esempio di un Paese extra UE, la copertura varia da cantone a cantone, ma raramente raggiunge il 30%.
I nidi dovrebbero peraltro poter accogliere bambini già a partire dai tre mesi, perché alcune mamme devono tornare al lavoro già in quel periodo, se il loro congedo di maternità si esaurisce; mentre in molti casi ancor oggi vi sono asili nido che “accettano” i bebè solo a partire dai 6 o 9 mesi.
Non basta poi fornire un numero congruo di posti: bisogna anche che i costi siano ragionevoli. La retta per un asilo nido non può avere un prezzo troppo alto, perché altrimenti si spingono i potenziali utenti a scegliere altre strade, tra cui l’abbandono del lavoro da parte della madre.
Un investimento dello Stato nelle strutture di childcare vuol dire anche fare in modo che queste strutture siano aperte in orari compatibili con quelli lavorativi. Perché se anche i posti in asilo nido ci sono, e le rette non sono esose, ma quegli asili nido chiudono alle quattro o alle cinque del pomeriggio, il problema si ripropone: chi lavora full-time di solito non finisce di lavorare prima delle sei di sera. È necessario dunque prevedere orari flessibili e permettere a chi lavora fino a tardi di poter contare sul servizio di nido fino a sera oltre che nel periodo estivo o in quello natalizio: se non si tratta di “feste comandate”, e i genitori sono chiamati al lavoro, bisogna assicurare servizi all’infanzia operativi a pieno ritmo.
Accanto agli asili nido tradizionali si deve inoltre incentivare la creazione di una galassia di servizi analoghi, come le Tagesmutter/maman de jour, gli asili di condominio, e altre opzioni di childcare. Senza dimenticare gli asili nido aziendali, che possono essere utili non solo ai dipendenti di una data realtà che abbiano figli piccoli da iscrivervi ma anche anche ai cittadini di quel territorio.
Infine, si possono sostenere i cittadini nella scelta di fare figli attraverso politiche fiscali favorevoli alle famiglie, introducendo sgravi di entità direttamente proporzionale al numero dei figli. I bambini costano molto; ma sono anche un patrimonio per il sistema-Paese, persone che nella maggior parte dei casi, una volta divenute adulte, diventeranno produttive; senza contare che i bambini di oggi saranno i contribuenti di domani, e con i loro contributi garantiranno le pensioni dei pensionati di domani.
È essenziale innescare circoli virtuosi che facciano sentire le persone che desiderano figli meno sole, che dimostrino che c’è un sistema pronto a offrire servizi adeguati in modo che l’onere economico e logistico di fare un figlio (o più figli!) non ricada tutto sui genitori.
insieme possiamo fare la differenza
e cambiare
le cose.
Permettici di entrare in contatto con te.
Iscriviti alla nostra mailing list!