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Eleonora Voltolina

Evviva la scienza! Ma la procreazione assistita può essere un aiuto, non la soluzione

Aggiornamento: 16 dic 2022

Anche solo un secolo fa, una quantità impressionante di malattie che oggi possono essere curate – o addirittura prevenute tramite vaccini – uccidevano o lasciavano invalidi. Meno male che esiste la scienza! Meno male che il progresso scientifico in campo medico ci ha regalato strumenti diagnostici, cure chimiche, attrezzature chirurgiche avanzate, computerizzate, perfino robotizzate a volte. Evviva la scienza.


Meno male che esiste la scienza anche in campo di natalità. Le procedure di cura della sterilità, di inseminazione in vitro, di tutte quelle pratiche che finiscono sotto il nome di “procreazione medicalmente assistita”, hanno permesso a milioni di persone nel mondo di diventare genitori.


Al netto delle questioni etiche – come l’opportunità di avviare una gravidanza a una donna in menopausa fisiologica, magari di sessant’anni e oltre – e senza minimizzare alcuni rischi come le gravidanze plurigemellari, le procedure di procreazione medicalmente assistita sono uno dei progressi del nostro tempo. Evviva la scienza.


Bisogna però essere consapevoli che non si tratta di una soluzione al problema che sta al centro della Why Wait Agenda, e cioè quello del divario tra figli desiderati e figli avuti, e più in generale della natalità in abbassamento costante e sopratutto della età media al primo figlio in aumento nei Paesi avanzati.

Non è una soluzione per vari motivi. Il primo è che funziona solo in tre-quattro casi su dieci. Questa è la media di successo, di persone che entrano in un centro medico per la fertilità e ne escono, mesi o anni dopo, con il cosiddetto “bimbo in braccio”. I dati FIVNAT/SFSO pubblicati sul sito ufficiale dell’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) svizzero riportano per il 2019 una percentuale media del 25% di gravidanze ottenute a seguito di trattamenti di FIV (fecondazione in vitro, in inglese IVF), ma poi solo un 19% di parti conseguenti, perché una parte considerevole di queste gravidanze termina in aborto.


Il secondo motivo è che il tasso di successo, così come accade con il concepimento per via naturale, è strettamente legato all’età della donna. Dunque una donna ventinovenne che si sottoponga a trattamenti per la fertilità avrà molte più probabilità di restare incinta di una donna trentanovenne – per non parlare di una donna quarantanovenne. Questo vuol dire che le procedure di procreazione medicalmente assistita possono aiutare in maniera molto meno efficace le persone che cominciano a cercare un figlio dopo i 35 anni, e specialmente dopo i 40. Che però sono, statisticamente, la fascia di età che più spesso si rivolge a questi centri.


Il terzo è che in molti casi si tratta di procedure costose; le differenze tra normative nei vari Paesi danno anche luogo a un “turismo procreativo” che fa lievitare ulteriormente i costi per quelle persone che, per esempio, desiderano accedere alla fecondazione eterologa o alla diagnosi preimpianto ma vivono in Paesi dove queste fattispecie sono vietate dalla legge; oppure persone single o in relazioni omosessuali che vivono in Paesi dove le procedure di procreazione medicalmente assistita sono aperte solo alle coppie eterosessuali.


Il quarto motivo è che si tratta comunque di procedure invasive, che comportano l’assunzione di notevoli quantità di farmaci e ormoni e una medicalizzazione delle fasi di ovulazione, con monitoraggi ginecologici ravvicinati, talvolta procedure chirurgiche. A corollario di ciò, le probabilità di parti gemellari o plurigemellari (definiti tecnicamente “parti plurimi”), quindi gravidanze maggiormente a rischio, aumentano moltissimo: per esempio in Svizzera nel 2019 il tasso di parti plurimi complessivamente rilevato era pari a 1,7%; ma prendendo in considerazione solo le gravidanze ottenute in seguito a trattamenti FIV, tale tasso saliva a 6,11%, vale a dire quasi quadruplo.


Dunque: evviva la scienza. Evviva la procreazione medicalmente assistita, che può essere un aiuto per tante persone per avere quei figli che non riescono o non possono avere naturalmente.


Ma il problema va affrontato alla radice. Tutte quelle donne che ai centri sterilità arrivano perché hanno atteso troppo e non per loro scelta, quelle donne che si rendono conto improvvisamente che cominciare a cercare una gravidanza a 35 o 39 o 42 anni non è così facile, tutte quelle donne certamente avranno la loro chance attraverso la procreazione medicalmente assistita, se decideranno di provarci, se avranno le risorse mentali ed economiche per farlo. Ma per una grande parte di quelle donne, non sarebbe stato meglio creare un ambiente non ostile e permettere loro di fare figli quando hanno iniziato a desiderare di averne? Anziché sottoporle a indebite, pesanti pressioni per indurle a rimandare la scelta della maternità?


Evviva la scienza. Ma neppure la scienza, alle donne over 40, offre grandi chance di successo nell’avere un figlio. E dunque ci vuole un cambiamento politico, culturale, di paradigma, perché le donne che desiderano figli non arrivino alle soglie dei quaranta prima di potersi “permettere” di (provare a) farne.



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Questo articolo, come tutto il sito di The Why Wait Agenda, è stato prodotto dall'associazione Journalism for social change, un'organizzazione che crede in un giornalismo impegnato e partecipe, che possa dare tramite l'informazione un punto di vista laico e progressista sui temi della fertilità e della genitorialità e far evolvere la nostra società rispetto a queste tematiche. L'associazione, senza scopo di lucro, si sostiene anche grazie ai doni dei lettori: donando una somma, anche piccola, permetterete a questo progetto di crescere e di raggiungere i suoi obiettivi.

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